Inpgi nell’Inps: è garanzia pubblica per le pensioni dei giornalisti

La norma inserita dal governo nella legge di Bilancio ci dà ragione della nostra visione. Grazie a chi ha ascoltato in questi anni le nostre istanze

di Daniela Stigliano, Elena Polidori, Carlo Parisi – Consiglieri di amministrazione Inpgi

Le pensioni dei giornalisti sono ora davvero salve. E hanno la garanzia pubblica, come per tutti gli altri lavoratori dipendenti italiani. Questo è il programma con cui ci siamo candidati all’Inpgi lo scorso anno, questo è il mandato che ci hanno dato le colleghe e i colleghi che ci hanno votato e questo è l’obiettivo su cui ci siamo impegnati in questi mesi di lavoro nel Consiglio di amministrazione. La norma inserita dal governo nella legge di Bilancio ci dà ragione della nostra visione e del nostro lavoro.

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#CrisiInpgi1 Favole/3 Ecco chi ci sta portando all’Inps (senza paracadute)

Senza un progetto serio ed efficace, corriamo davvero il rischio del commissariamento e di un taglio delle pensioni. Per colpa di chi ha distrutto il nostro Istituto

di Daniela StiglianoGiunta Fnsi e consigliera uscente del Consiglio generale Inpgi (candidata per Sos Inpgi-Garanzia pubblica per le pensioni)

(Terza e ultima puntata sulle favole che ci hanno raccontato e ci raccontano ancora. Qui la prima e qui la seconda puntata)

Daniela Stigliano nuovaSolo un Inpgi privatizzato può garantire l’autonomia dei giornalisti? Questo è quello che, da mesi, ci vuole far credere la maggioranza che guida il nostro Istituto di previdenza e la Fnsi, per giustificare il rifiuto di prendere in considerazione progetti alternativi all’ingresso nell’Inpgi di altre figure professionali. Così come i candidati della gestione che ha portato l’Istituto al disastro hanno fatto una campagna elettorale con un solo argomento: gli altri, cioè noi di Sos Inpgi-Garanzia pubblica per le pensioni, vogliono portarvi all’Inps, perché la garanzia pubblica delle pensioni non è attuabile (oppure, in alternativa contraddittoria, perché c’è già).

Altre due favole, neppure tanto ben confezionate ma ripetute senza sosta per convincere i colleghi con una propaganda fatta di sole parole, senza portare uno straccio di dato, di documento, di prova. Noi, invece, presentiamo ragionamenti, così come dati e documenti. Leggete tutte le puntate sulle favole che ci hanno raccontato e ci raccontano ancora. E poi decidete a chi affidare l’Inpgi nei prossimi anni.

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#CrisiInpgi1 Favole/2 I comunicatori? Non salveranno le nostre pensioni

La legge sull’ingresso (dal 2023) di altre figure professionali è vaga. E prevede una nuova, pesante riforma subito dopo le elezioni. Ma nessuno lo dice. E voi, vi fidate ancora?

di Daniela StiglianoGiunta Fnsi e consigliera uscente del Consiglio generale Inpgi (candidata per Sos Inpgi-Garanzia pubblica per le pensioni)

(Seconda puntata sulle favole che ci hanno raccontato e ci raccontano ancora. Qui la prima puntata)

Daniela Stigliano nuovaLa formula magica è: ingresso dei comunicatori nell’Inpgi. Una specie di abracadabra capace di riportare l’oro nelle casse di via Nizza rimaste a secco. È questa la favoletta bella che raccontano molti candidati della maggioranza dell’Inpgi e della Fnsi (e pure ahimè qualcuno di una presunta opposizione) e che i vertici dell’Istituto e del Sindacato stanno portando in giro per l’Italia, come una Madonna in processione, in un tour elettorale senza contradditorio alcuno, come si conviene a chi rivendica democrazia (in casa altrui).

Peccato che neppure l’arrivo dei comunicatori o di chi per loro, nel 2023 o prima, potrebbe salvare l’Inpgi e le nostre pensioni: servirebbe solo a prolungarne l’agonia ma conservando, per qualche anno, poltrone e lauti compensi della maggioranza. A meno di non trasferire in via Nizza tutti gli iscritti all’Inps, punto che non sembra essere all’ordine del giorno e che neppure la presunzione di alcuni è finora arrivata a pensare. Oppure di pretendere e assicurarsi la garanzia pubblica delle nostre pensioni, come chiediamo noi di Sos Inpgi.

A dirlo sono numeri e fatti, tutti verificabili dai documenti ufficiali. Leggeteli, prima di decidere a chi consegnare l’Inpgi con il vostro voto alle elezioni di febbraio.

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#SosInpgi Garanzia pubblica per le pensioni: il nostro programma

Ritorno alla garanzia pubblica per le pensioni attuali e future. Trasparenza di ogni atto e decisione dell’Istituto. Riduzione dei compensi degli amministratori. Ecco i nostri candidati

di Sos Inpgi – Garanzia pubblica per le pensioni

Le elezioni per il rinnovo degli organismi del nostro Istituto di previdenza si terranno dal 10 al 16 febbraio. Noi vogliamo difendere le pensioni attuali e future. E cambiare l’Inpgi per farlo vivere. La nostra lista si chiama “Sos Inpgi – Garanzia pubblica per le pensioni” ed è nata da un’alleanza, a livello nazionale, formata da tutti coloro che pensano si possa e si debba voltare pagina per tutelare i giornalisti italiani e le loro pensioni. In Lombardia è sostenuta da Unità Sindacale-Mil, Senzabavaglio e Movimento liberi giornalisti.

Lo squilibrio tra entrate e uscite previdenziali è negativo da nove anni e il bilancio del nostro Istituto, dopo gli anni degli utili di carta, è in profondo rosso dal 2017 per centinaia di milioni ed è arrivato a 150 milioni nel 2019. Mentre la liquidità in cassa garantisce il pagamento delle pensioni sì e no per due anni.

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Pensioni dopo le riforme: una guida (minima) per non fare confusione

Manovra Inpgi e decreto Lotti (con la “manovrina” d’estate) hanno rivoluzionato la nostra previdenza. Raccapezzarsi tra regole, deroghe e salvaguardie non è facile. E non tutto è come appare…

di Daniela StiglianoGiunta Fnsi e Consigliera generale Inpgi

La riforma dell’Inpgi e le nuove regole per i prepensionamenti. Le clausole di salvaguardia e le deroghe per le uscite anticipate. E poi il sistema contributivo, il calcolo automatico dell’aspettativa di vita, la rivalutazione dei contributi ridotta retroattivamente dal 2007 per tutti. Nel giro di pochi mesi di questo 2017 quasi tutto è cambiato per le pensioni dei giornalisti italiani. Ed è facile fare confusione tra norme, regole, deroghe e salvaguardie. Anche perché non tutto è esattamente come appare.

Proviamo allora a fare ordine tra le differenti novità, con questa guida minima alla comprensione del nostro futuro. O perlomeno di quel che sarà fino alla prossima (vicina?) riforma delle nostre pensioni, già richiesta dai ministeri vigilanti.

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Riforma pensioni e rischio esodati: la sconfitta politica di Inpgi e Fnsi

Bloccate le clausole di salvaguardia. Negata l’autonomia del Cda sull’aspettativa di vita. Mentre passano le misure Inps ma senza protezione pubblica. E il futuro dei giornalisti non è garantito

di Daniela StiglianoGiunta Fnsi e Consigliera generale Inpgi

Nessuna clausola di salvaguardia. Nessuna autonomia del Cda sull’aspettativa di vita. Nessuna garanzia sul futuro. E, soprattutto, il rischio – che è quasi una certezza – di creare decine, centinaia di esodati. La riforma delle pensioni dei giornalisti, entrata in vigore il 21 febbraio con il via libera dei ministeri vigilanti del Lavoro e dell’Economia, è la rappresentazione plastica del fallimento politico dell’attuale maggioranza di Inpgi e Fnsi.

I no e le sospensioni pronunciate dai due dicasteri pesano infatti come macigni. Perché vanno a colpire le poche, pochissime aree su cui il vertice dell’Istituto aveva differenziato le condizioni rispetto all’Inps e su cui il Sindacato si era impegnato con i giornalisti. Mentre nulla si conosce ancora delle condizioni e dei paletti che i ministeri hanno indicato nella lettera arrivata il 21 febbraio in via Nizza, che i vertici dell’Istituto si rifiutano di rendere pubblica.

Altro che cantare vittoria per una riforma che sovrappone la nostra previdenza a quella dell’Inps ma senza nessun ombrello protettivo pubblico! La presidente dell’Inpgi, Marina Macelloni, e il segretario della Fnsi, Raffaele Lorusso, dovrebbero ammettere la sconfitta politica. Ecco perché.

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Inpgi, il governo nega ai giornalisti il cumulo gratuito dei contributi

Nelle slide di Nannicini l’esclusione degli iscritti all’Inpgi, unica cassa professionale di lavoratori dipendenti

Ora è scritto anche nero su bianco: il governo tiene fuori i giornalisti iscritti all’Inpgi dalla possibilità di cumulo gratuito dei contributi versati in altri enti previdenziali. Rendendo la nostra l’unica categoria di lavoratori dipendenti penalizzata dalle nuove norme. E anticipando di fatto il parere su uno dei punti della riforma varata dal Cda di via Nizza e ancora al vaglio dei ministeri vigilanti: l’eliminazione delle regole della legge Vigorelli del 1955, che prevede appunto il cumulo tra contributi Inps e Inpgi, per le pensioni di anzianità (leggi qui e qui). Con la conseguenza di cancellare le speranze, anche per quanto riguarda le pensioni di vecchiaia, a tanti colleghi che hanno versamenti precedenti per esempio all’Inpdap.

L’esclusione dei giornalisti dalle nuove norme è contenuta a pagina 20 delle 32 slide sugli interventi sulle pensioni concordate con i sindacati e distribuite ieri dal team economico di Palazzo Chigi guidato dal sottosegretario Tommaso Nannicini (nella foto di apertura). Pur se celata in una considerazione che vorrebbe apparire di portata più ampia.

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La nuova riforma salva (per qualche anno) l’Inpgi ma non le nostre pensioni. Lo dice l’attuario, conti alla mano

imagedi Daniela StiglianoConsigliere generale Inpgi

Il patrimonio non si annullerebbe mai. Ma la riserva per le pensioni scenderebbe in picchiata fino al 2040 per poi risalire e raggiungere il valore minimo richiesto dalla legge solo nel 2052. Sempre a patto che si avverino previsioni basate su ipotesi di crescita irrealistiche per l’industria dell’informazione, in particolare quelle – fondamentali – legate all’aumento dell’occupazione e delle entrate per contributi. E senza tener conto di un dato di partenza del patrimonio maggiorato di quasi 370 milioni rispetto al dato del bilancio 2015.

Tradotto in parole povere, la nuova riforma varata il 28 settembre dal Consiglio di amministrazione dell’Inpgi non servirà a salvare le nostre pensioni. Ma basterà al massimo a mandare avanti l’Istituto per qualche anno, forse non più di cinque.

A parlare chiaro sono le conclusioni dell’attuario che accompagnano e sono parte integrante delle misure approvate (e che sono, chissà perché?, tenute nascoste).

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Inpgi, ritocchi minimi alla riforma delle pensioni e per tre anni il potere agli editori sulla flessibilità in uscita

di Daniela StiglianoConsigliere generale Inpgi

PIccoli ritocchi, qualche riscrittura,  modifiche che potrebbero addirittura essere peggiorative, una proposta – l’unica novità vera – per coniugare flessibilità in uscita e nuova occupazione  consegnata nelle mani degli editori. La nuova versione della riforma delle pensioni disegnata dal Consiglio di amministrazione dell’Inpgi (scarica qui il file) – su cui stamattina dovrà dare il giudizio la Giunta Esecutiva della Fnsi – non modifica di fatto nulla della struttura presentata a inizio settembre: passaggio al contributivo, età pensionabile a 66 anni e 7 mesi, introduzione dell’aspettativa di vita, flessibilità in uscita a maglie strette e a caro costo, stop alla pensione a qualsiasi età con 40 anni di contributi, niente più possibilità di sommare anni di contributi Inps e Inpgi, nuovi prelievi sulle retribuzioni e una stretta ai contributi figurativi per chi è in maternità, cigs o solidarietà (leggi qui).

Una manovra iniqua, e oltretutto incapace di garantire la sostenibilità dell’Inpgi a lungo termine e di mettere in sicurezza le nostre pensioni. Anzi. Le proiezioni complete dell’attuario ancora non ci sono, ma è certo siano basate su dati non corrispondenti a quelli effettivi per i primi due anni (2015 e 2016) e calcolati su irrealistici parametri di crescita per i successivi 48 anni, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione. Lo sanno bene i consiglieri di amministrazione dell’Inpgi che domani dovranno decidere se approvare o meno la riforma, e quindi inviarla ai ministeri vigilanti. E lo sa ancora meglio il consigliere Mauro Marè, professore esperto di previdenza, dal 2007 a capo del Mefop (la società di sviluppo dei fondi pensione voluta e partecipata da ministero dell’Economia) e soprattutto rappresentante nel Cda del ministero del Lavoro che quei parametri di crescita ha consegnato alle casse previdenziali.

Come potranno, tutti i consiglieri e Marè in particolare, approvare una riforma che non risolve nulla alla radice rimandando soltanto il problema nel tempo?

Ma vediamo che cosa cambia nella nuova versione dell’ipotesi di riforma delle nostre pensioni.

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“Da giornalista a giornalista”. Lettera di 52 colleghi della Cairo sulle pensioni Inps-Inpgi al Cda dell’Istituto: “Evitate una grave ingiustizia”

inpgi.jpg_694560180“Evitate questa grave ingiustizia“. L’appello arriva in una lettera aperta firmata da 52 colleghi di Cairo Editore ed Editoriale Giorgio Mondadori inviata questa mattina ai giornalisti eletti nel Consiglio di amministrazione dell’Inpgi e, per conoscenza, al Collegio sindacale. Una lettera “da giornalista a giornalista” in cui si punta l’attenzione in particolare su un punto della riforma delle pensioni (leggi qui) che il Cda dell’Istituto si appresta a varare nella riunione del prossimo 28 settembre: la cancellazione della possibilità di sommare i contributi versati all’Inps per raggiungere i requisiti per la pensione Inpgi (legge Vigorelli).

Ecco il testo completo della lettera, con i nomi dei 52 colleghi che l’hanno sottoscritta a cui tutti noi di Unità Sindacale aderiamo.

LETTERA APERTA
DA
GIORNALISTA A GIORNALISTA

Caro/a collega

in questi giorni stai per approvare la nuova riforma dell’Inpgi. 

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Riforma pensioni, l’Inpgi sapeva da settembre dei “no” di Poletti. Ma non l’ha detto a nessuno

IMG_1208Il primo giudizio sulla riforma delle pensioni dell’Inpgi da parte del ministero del Lavoro è arrivato il 22 settembre scorso. Con la richiesta di nuovi calcoli rispetto a quelli contenuti nel bilancio tecnico consegnato a fine giugno, in particolare limitando il tasso di interesse sul patrimonio al 3% rispetto al 4,6% ipotizzato dall’Istituto. Calcoli che sono stati inviati da via Nizza al dicastero di Giuliano Poletti il 9 novembre, nel silenzio più totale. Non l’hanno infatti saputo i giornalisti italiani tutti. Ma non risulta siano stati informati ufficialmente neppure il Consiglio di amministrazione e il Collegio sindacale dell’Inpgi. O perlomeno non tutti i componenti dei due organismi.

A rivelarlo è la lettura integrale della comunicazione che il ministero del Lavoro ha inviato prima di Natale ai colleghi dell’Economia (in coda, il testo completo), di cui ha scritto per primo sul Sole 24 Ore di sabato 9 gennaio il collega Vitaliano D’Angerio (leggi qui). Nella lettera il giudizio degli uomini di Poletti è tranchant: “Si ritiene che la delibera CdA 24/2015, nella sua attuale formulazione, non possa avere ulteriore corso”. E scorrendo le lunghe pagine di missiva tra i due ministeri vigilanti si capisce il perché.

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Il ministero del Lavoro boccia la riforma dell’Inpgi: non risolve la situazione di squilibrio. La nuova manovra sarà affidata al prossimo Cda

imageSonora bocciatura per la riforma dell’Inpgi. La delibera varata dal Consiglio di amministrazione il 27 luglio scorso non passa l’esame del ministero del Lavoro, che sottolinea come non sia sufficiente a superare la “complessa situazione di squilibrio” dell’Istituto. E conclude con una formula lapidaria: “Si ritiene che la delibera del Cda, nella sua attuale formulazione, non possa avere ulteriore corso“.

A rivelarlo è un articolo del Sole 24 Ore in edicola oggi a firma di Vitaliano D’Angerio (a destra e in formato leggibile in fondo al testo), che riporta il contenuto della lettera inviata prima di Natale dal ministero guidato da Giuliano Poletti al Mef di Pier Carlo Padoan, a cui spetta un’ulteriore valutazione sui conti prospettici in base alla riforma e sulla stabilità futura dell’Inpgi. Anche sulla base delle nuove proiezioni attuariali sviluppate a inizio novembre con rendimento del patrimonio ridotto al 3% nominale rispetto al 4,6% considerato nelle ipotesi di luglio (leggi qui).

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Lotti cambierà i requisiti per i prepensionamenti. Ma che cosa potrebbe accadere agli stati di crisi in corso?

di Daniela StiglianoGiunta Esecutiva Fnsi

Il sottosegretario Luca Lotti
Il sottosegretario Luca Lotti

Nuovi requisiti di età e di contribuzione all’Inpgi per i giornalisti prepensionati. Li stabilirà il Governo secondo la proposta di legge sull’editoria in discussione al Parlamento, presentata dal Pd il 22 settembre scorso. La soddisfazione di chi – nella categoria – pensa più ai conti a breve termine dell’Inpgi che ai colleghi e al loro futuro è palpabile, anche se non espressa esplicitamente nelle dichiarazioni ufficiali. Forse nella speranza che lo stop tanto annunciato ai prepensionamenti arrivi per via legislativa.

In pochi, invece, sembrano interrogarsi sul destino dei molti stati di crisi in corso nelle testate e nelle aziende che, in attesa dei finanziamenti per l’uscita dei colleghi prepensionabili, hanno attivato ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione o i contratti di solidarietà. E che, in assenza di quelle uscite, potrebbero ritrovarsi con il ricorso a soluzioni ben più traumatiche: il licenziamento di chi non avrà alcun paracadute.

Ma come potrebbero cambiare i requisiti per il prepensionamento dei giornalisti? E che impatto potrebbero subire le molte richieste in lista di attesa al ministero del Lavoro?

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Riforma Inpgi: sì, no, nì. Quale sarà il giudizio dei ministeri? Ecco gli scenari che si aprono. E i rischi che si corrono

IMG_1208Ma la riforma delle pensioni dell’Inpgi è già entrata in vigore? La domanda può apparire retorica, ingenua o fors’anche provocatoria. È però la prima cosa che viene da chiedersi ad ascoltare i discorsi dei colleghi. Siamo infatti tutti impegnati a fare i conti con norme future (disponibili a questo link) date per acquisite e in verità ancora incerte, perché varate dal Cda dell’Istituto il 27 luglio scorso ma non approvate dai ministeri del Lavoro e dell’Economia. Mentre nessuno sembra più pensare a quello che prevedono le regole attuali, ancora pienamente in vigore (si possono consultare qui) Né tantomeno ai rischi di un giudizio non nettamente positivo da parte dei dicasteri vigilanti.

L’avvertimento è stato lanciato dallo stesso presidente dell’Inpgi, Andrea Camporese, presentando a giugno la sua riforma: i ministeri – ha spiegato – possono approvare la manovra così com’è, o rigettarla in toto, oppure dire sì ma imponendo una serie di correzioni, ritenendola di fatto non sufficiente a mettere i conti dell’Inpgi al sicuro. E che la riforma sia del tutto inutile a garantire la sostenibilità, perché studiata troppo tardi da chi ha in questi anni messo in ginocchio il nostro Istituto, è dimostrato dai calcoli ufficiali del bilancio tecnico del professor Marco Micocci (non reso pubblico dall’Istituto, ma rivelato su questo blog a questo link).

Che cosa accade, o potrebbe accadere, in ognuno di questi tre scenari? E come questo può condizionare le decisioni personali?

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I giornalisti non possono andare in pensione a 70 anni. La Cassazione: valgono i 65 anni previsti dall’Inpgi

imageI giornalisti non possono andare in pensione a 70 anni. A meno che non raggiungano un accordo con l’azienda. Lo ha stabilito una sentenza della Corte di Cassazione, a Sezioni unite, che si è espressa proprio su una controversia che coinvolgeva un collega, ma andando poi ben oltre la singola vicenda.

La notizia arriva dal Sole 24 Ore, in un articolo a firma Maria Carla De Cesari e Giampiero Falasca, ed è un cambiamento importante (e dirompente) – non solo per i giornalisti – rispetto all’interpretazione che era stata finora data alla norma prevista dalla legge SalvaItalia e voluta dal ministro Elsa Fornero.

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Giorni difficili per l’Inpgi, tra un disavanzo da 118 milioni e le critiche alla riforma: articolo sul Fatto quotidiano online

I conti dell’Inpgi, lo squilibrio evidenziato dalla Corte dei Conti, la riforma proposta dal presidente Andrea Camporese e dal Cda dell’Ente, il sì della Fnsi, le argomentazioni di chi la critica. Nell’articolo pubblicato dal Fatto quotidiano online a firma del collega Luigi Franco si ripercorrono le difficoltà dell’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani.

Andrea Camporese
Andrea Camporese
di Luigi Francoilfattoquotidiano.it

Giorni difficili per l’Inpgi, la cassa di previdenza dei giornalisti. La situazione dei conti non è sostenibile a lungo termine, come ha certificato anche l’ultima relazione della Corte dei conti sulla gestione finanziaria dell’istituto. Mentre in molti giudicano iniqua e tardiva la proposta di riforma del regolamento dell’ente, che proprio quei conti dovrebbe mettere a posto. A idearla è stato il cda guidato dal presidente r, per il quale la procura di Milano ipotizza il reato di corruzione e truffa aggravata nell’indagine appena chiusa sulla vicenda Sopaf.

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I costi dell’Inpgi/2. In otto anni il personale corre del 29% fino a 16 milioni. Per il dg stipendio oltre i 230 mila euro

Seconda puntata dell’analisi dei costi dell’Inpgi e del loro andamento negli otto anni di crisi dal 2007 al 2014. Sotto la lente, questa volta, abbiamo messo le spese per il personale, che costituiscono la spesa più importante, superando per la prima volta nel 2014 i 16 milioni di euro. La tabella con le elaborazioni è scaricabile qui in formato .pdf. La prima puntata era sui costi degli organi dell ‘Istituto.

Mimma-Iorio
Mimma Iorio
di Daniela Stigliano – Giunta Esecutiva Fnsi

Tre direttori generali, qualche uscita incentivata anche di “peso”, costi complessivamente aumentati di poco meno del 30% negli otto anni della crisi, con un’incidenza compresa tra il 62% e il 66% sul totale delle spese della macchina che muove l’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani. Il personale è la voce più importante tra i costi di funzionamento dell’Inpgi (escludendo quindi le uscite per le prestazioni). Ma nella riforma presentata dal Consiglio di amministrazione alle parti sociali, Fnsi e Fieg, il 9 giugno scorso e poi inviata nel documento Ipotesi di interventi per la sostenibilità della gestione previdenziale Inpgi il 18 giugno, non c’è alcuna indicazione che faccia pensare a ipotesi di spending review sulla struttura, come per esempio sta attuando da alcuni anni l’Inps. Senza contare che il nuovo presidente dell’Istituto pubblico, Tito Boeri, si è assegnato una retribuzione di 102 mila euro lordi l’anno, un dodicesimo del suo predecessore Antonio Mastrapasqua. E molto meno anche del presidente della Cassa dei giornalisti, Andrea Camporese, e pure dei tre diversi direttori generali che sono passati da via Nizza in questi anni.

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I costi dell’Inpgi/1 Cda e Consiglieri guadagnano sempre più: in 8 anni aumento medio del 39%. Sindaci a +14%

Quanto costa la macchina che fa muovere l’Inpgi? Nel 2014, per le cosiddette spese di struttura, che vanno dal personale ai beni e servizi, comprese le spese girate alle Associazioni di stampa che funzionano come sedi decentrate, fino agli organi e altro, l’Istituto ha speso in tutto 24,8 milioni di euro, in diminuzione dell’1,6% rispetto ai 25,2 milioni del 2013, anche se nel preventivo 2015 la voce è ipotizzata in crescita fino a 25,9 milioni. Il valore assoluto, però, dice poco. Bisogna capire quanto questi costi pesano sul complesso delle attività dell’Inpgi. E mettere il risultato a confronto con altre realtà previdenziali. Ebbene, sul totale delle entrate per contributi, il peso è del 6,07% (era del 6,06% l’anno precedente), sul volume gestito, ovvero la somma di entrate contributive e spese per prestazioni, è pari al 2,76% ed è del 4,82% sul totale delle uscite. L’Inps, per esempio, nel 2013 aveva un’incidenza delle spese di funzionamento sul movimento dei flussi previdenziali e assistenziali dell’1,6%, che nel 2014 è stato in ulteriore diminuzione. Mentre l’Enpals, nel 2010, l’anno prima di confluire nella stessa Inps, aveva un rapporto dei costi di struttura dell’1,84% sul volume gestito, considerato comunque elevato, e del 2,82% sul totale delle uscite. 

Anche la composizione percentuale delle voci all’interno dei costi fa riflettere. Il personale, per esempio, incide per oltre il 66% sulle uscite per funzionamento, contro il 50% dell’Inps e il 64% dell’Enpals pre-integrazione. Gli organi sono addirittura al 5,6% rispetto all’1,5% della cassa di sportivi e lavoratori dello spettacolo. Eppure, nella riforma studiata dal Cda dell’Inpgi per tentare – in ritardo – di porre rimedio a uno squilibrio previdenziale cresciuto negli anni, non si parla in nessun modo di mettere mano ai costi della struttura. Né di quale sia stata la dinamica di queste spese negli anni della crisi. Proviamo a fare un’analisi per capirne di più, iniziando dalle uscite per gli organi sociali del nostro Istituto.

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Gabriele Cescutti

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Andrea Camporese

di Daniela StiglianoGiunta Esecutiva Fnsi

Otto anni di crisi, per i giornalisti. Otto anni di testate chiuse, migliaia di posti di lavoro persi, cassa integrazione, contratti di solidarietà, pensionamenti anticipati, disoccupazione. Per non parlare delle condizioni sempre peggiori di freelance e collaboratori. Otto anni di bilanci dell’Inpgi in trend negativo, salvati finora solo da vendita di investimenti liquidi e rivalutazione (sulla carta) del valore degli immobili. Eppure, ai piani alti di via Nizza, nello stesso periodo, i risparmi non sono stati troppo di casa. Soprattutto se si parla dei compensi del Consiglio di amministrazione e del Collegio sindacale, cresciuti di un terzo tra il 2007 (ultimo anno di presidenza di Gabriele Cescutti) e il 2014 (settimo anno di presidenza di Andrea Camporese).

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Inpgi, chi rischia di pagare il conto della crisi e di troppe distrazioni

Pubblichiamo la lettera aperta che Fabio Pavesi, esperto di finanza del Sole 24 Ore, ha inviato a tutti i colleghi del suo giornale e anche ai componenti della Giunta Esecutiva della Fnsi e del Consiglio di amministrazione dell’Inpgi. La sua analisi sulla crisi dell’Istituto di previdenza dei giornalisti e sulla futura riforma che aspetta la categoria si conclude con un invito esplicito (e benvenuto): Ne discutiamo?

di Fabio Pavesi – Il Sole 24 Ore

(in coda, il link alla replica di Franco Abruzzo)

inpgi.jpg_694560180L’Inpgi è a un bivio difficile della sua storia, da quando nel ’94 è stato privatizzato. Ora si parla apertamente di una nuova riforma, inevitabile, ma basterà? Le ultime due riforme nel 2007 e nel 2011 si sono rivelate dei pannicelli caldi. Hanno solo tamponato una crisi che è in realtà strutturale da molti anni. Anni in cui si è minimizzata la portata della crisi.

Basti pensare che già nel 2004 l’attuario Gismondi pronosticava che dal 2017 il saldo della gestione corrente sarebbe risultato negativo accentuandosi nel tempo. Ebbene previsione azzeccata ahimè solo con largo anticipo. Il saldo tra entrate (contributi) e uscite (spesa per pensioni Ivs) della gestione corrente (incassare contributi e pagare pensioni) è andato in rosso per la prima volta già nel 2011 per 1,3 milioni. Poco si dirà. Ma è l’escalation a essere drammatica.

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