#CrisiInpgi1 Favole/2 I comunicatori? Non salveranno le nostre pensioni

La legge sull’ingresso (dal 2023) di altre figure professionali è vaga. E prevede una nuova, pesante riforma subito dopo le elezioni. Ma nessuno lo dice. E voi, vi fidate ancora?

di Daniela StiglianoGiunta Fnsi e consigliera uscente del Consiglio generale Inpgi (candidata per Sos Inpgi-Garanzia pubblica per le pensioni)

(Seconda puntata sulle favole che ci hanno raccontato e ci raccontano ancora. Qui la prima puntata)

Daniela Stigliano nuovaLa formula magica è: ingresso dei comunicatori nell’Inpgi. Una specie di abracadabra capace di riportare l’oro nelle casse di via Nizza rimaste a secco. È questa la favoletta bella che raccontano molti candidati della maggioranza dell’Inpgi e della Fnsi (e pure ahimè qualcuno di una presunta opposizione) e che i vertici dell’Istituto e del Sindacato stanno portando in giro per l’Italia, come una Madonna in processione, in un tour elettorale senza contradditorio alcuno, come si conviene a chi rivendica democrazia (in casa altrui).

Peccato che neppure l’arrivo dei comunicatori o di chi per loro, nel 2023 o prima, potrebbe salvare l’Inpgi e le nostre pensioni: servirebbe solo a prolungarne l’agonia ma conservando, per qualche anno, poltrone e lauti compensi della maggioranza. A meno di non trasferire in via Nizza tutti gli iscritti all’Inps, punto che non sembra essere all’ordine del giorno e che neppure la presunzione di alcuni è finora arrivata a pensare. Oppure di pretendere e assicurarsi la garanzia pubblica delle nostre pensioni, come chiediamo noi di Sos Inpgi.

A dirlo sono numeri e fatti, tutti verificabili dai documenti ufficiali. Leggeteli, prima di decidere a chi consegnare l’Inpgi con il vostro voto alle elezioni di febbraio.

Il grande progetto della maggioranza dell’Inpgi e della Fnsi, portato avanti con sicumera e senza prevedere nessun piano alternativo, è dunque l’allargamento dell’Istituto ad altre figure professionali, cioè i comunicatori, che sarebbero costretti a lasciare la “casa sicura” dell’Inps per passare con i propri contributi al disastrato Inpgi, senza peraltro modificare le regole di pensione.

Voi lo fareste? E, infatti, i comunicatori sostengono con forza la loro opposizione a una «deportazione forzata», come l’hanno ribattezzata, senza che prima non siano quantomeno coinvolti in un tavolo con il governo per parlare del futuro delle diverse professioni e delle eventuali, successive ricadute sull’assetto previdenziale. Non solo: promettono anche, in caso di “deportazione”, una pioggia di ricorsi e di cause, che potrebbero far saltare l’intera operazione.

Il legame con la Lega
Pur di far approvare dal Parlamento l’ingresso dei comunicatori, i vertici dell’Inpgi si sono legati mani e piedi alla Lega, quando sottosegretario al Lavoro era Claudio Durigon, portando alla fine a casa una legge 58 (Decreto crescita, in vigore da luglio 2019) che parla però genericamente di «eventuale passaggio di soggetti assicurati dall’Inps all’Inpgi», comunque non prima del 2023, senza individuare di chi si tratti e con molte lacune sulla sua effettiva realizzabilità. 

A denunciarlo è anche la Corte dei Conti, a sezioni riunite, nella relazione sulle leggi approvate nel secondo quadrimestre 2019: «A parte la scarsa chiarezza del meccanismo normativo basato su ipotesi», sostiene l’organo di controllo, «si registra una compensazione a valere dei minori oneri di cui al provvedimento quali si dovrebbero registrare a partire dal 2023: non viene individuata però una misura specifica che sia in grado di fornire, a partire dall’esercizio citato, le necessarie disponibilità, di cui è ignota peraltro la natura (se si tratti cioè di risorse di bilancio ovvero di autorizzazioni legislative di spesa)».

Una relazione che in via Nizza hanno ovviamente letto bene, ma di cui non hanno detto nulla.

Una nuova riforma
Non solo. La stessa legge pretende che l’Inpgi adotti «entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, misure di riforma del proprio regime previdenziale volte al riequilibrio finanziario della gestione sostitutiva dell’assicurazione generale obbligatoria che intervengano in via prioritaria sul contenimento della spesa e, in subordine, sull’incremento delle entrate contributive». Quindi, «entro il termine perentorio del 30 giugno 2020, l’INPGI trasmette ai Ministeri vigilanti un bilancio tecnico attuariale, che tenga conto degli effetti derivanti dall’attuazione» delle misure di riforma.

Traduzione: prima tagliate pensioni e altre prestazioni, vediamo se vi reggete in piedi e poi noi pensiamo se e come, eventualmente, allargare la platea.

Un fallimento totale per il vertice dell’Inpgi, insomma. E la richiesta pressante di un anticipo dell’ingresso dei comunicatori (o chi per loro) prima a gennaio 2020, poi a luglio 2020, ora al 2021, la racconta lunga. Mentre nessuno parla di quali interventi saranno adottati sulle nostre pensioni e sulla nostra pelle, una volta passate le elezioni, per ottemperare alla legge così tanto inseguita.

Operazione di cortissimo respiro
La favola è però sostenere che i comunicatori potrebbero salvare davvero l’Inpgi e le nostre pensioni. Purtroppo, neppure un loro eventuale ingresso ci garantirebbe nel medio-lungo periodo. L’operazione sarebbe solo un palliativo, capace per qualche anno di dare respiro alle casse del nostro Istituto (e la poltrona assicurata a qualcuno), per poi presentare un conto ancora più pesante e definitivo. Come ha dichiarato, forse senza volerlo, persino il segretario della Fnsi di fronte ai Comitati di redazione riuniti il 9 gennaio scorso in assemblea a Roma: «Se all’allargamento della platea, inteso come altre categorie di lavoratori, non fa da contraltare un aumento dell’occupazione, staremmo sempre parlando di operazioni di cortissimo respiro».

Quello che non dice, il segretario della Fnsi, è che ci vorrebbe non un semplice aumento dell’occupazione, ma un vero e proprio boom di centinaia e migliaia di posti di lavoro dipendente, con retribuzioni perlomeno pari a quelle del contratto Fieg, per non rendere inutile l’operazione. E come questo possa accadere, con la crisi profonda del mercato e con questo sindacato, è un mistero inesplicabile.

Anche in questo caso, parlano però molto meglio i numeri. La legge che ipotizza l’allargamento degli iscritti all’Inpgi prevede pure la copertura da parte dello Stato della perdita di contributi che subirebbe l’Inps, anno per anno. Per il 2023 è calcolata in 159 milioni di euro, 163 per il 2024, 167 per il 2025, 171 per il 2026, 175 per il 2027, 179 per il 2028, 183 per il 2029, 187 per il 2030, 191 l’anno dal 2031 in poi. Cifre tutte inferiori rispetto al fabbisogno reale di liquidità dell’Inpgi, che quindi continuerebbe a perdere soldi. E si ritroverebbe inoltre a dover pagare pensioni e prestazioni varie anche ad altre figure professionali, aggravando e non “aggiustando” il suo squilibrio previdenziale.

Bilanci attuariali sempre smentiti
La favola più perversa di tutte è presentare come affidabili e certi i numeri dei bilanci attuariali, a cui nessuno crede, neppure nella maggioranza dell’Inpgi. Tanto che la presidente ha affermato, nel corso del Consiglio generale dell’aprile 2019, che «sono un po’ come le previsioni del tempo». E, chissà perché, non sono mai resi pubblici sul sito dell’Inpgi. Eppure, proprio quei dati sono stati usati per giustificare la riforma lacrime e sangue in due step nel 2015-2016 e vengono utilizzati ora per chiedere al Parlamento l’ingresso dell’Inpgi dei comunicatori. E sembrano essere presi per buoni persino da uomini del governo che questa operazione appoggiano.

Che non siano dati su cui poter basare ipotesi e politiche lo dimostra il fatto che le proiezioni degli ultimi bilanci attuariali siano state tutte smentite già nei primissimi anni successivi alla loro redazione. La responsabilità non è di chi elabora questi bilanci, ma dei criteri su cui i calcoli si basano: vengono infatti presi gli indicatori di crescita forniti dal ministero del Lavoro, elaborati (con ottimismo) per l’intera economia italiana e non “calati” nella realtà di un’industria dell’informazione in crisi, con un mercato del lavoro in forte contrazione.

Questo vuol dire che le entrate per contributi vengono calcolate in aumento come se ogni anno venissero assunte centinaia di giornalisti e gli stipendi aumentassero, mentre è purtroppo palese che la situazione è esattamente l’opposto, con un numero di assunti sempre più basso e retribuzioni in diminuzione per l’effetto combinato di un contratto Fieg non rinnovato dal 2016 (e senza vacanza contrattuale) e l’arrivo di un nuovo contratto fortemente depotenziato, l’Uspi. E che il patrimonio viene rivalutato come se l’economia italiana crescesse e il Pil fosse in espansione.

I nuovi calcoli
L’ipotesi di allargamento dell’Inpgi ai comunicatori ha il fondamento in un bilancio attuariale più recente, approvato a marzo 2019 dal Cda e segretato dai vertici dell’Istituto, che ne hanno fornito ufficialmente solo un estratto “mirato” nella relazione al bilancio 2018, approvato nell’aprile dello scorso anno, ma con previsione di ingresso dei comunicatori già nel 2019, evidentemente non verificatasi. È ovvio che tutti quei numeri sono oramai carta straccia, quantomeno perché bisognerebbe rifare tutti i calcoli. Eppure, continuano a circolare come “sicuri”. E a essere probabilmente confusi e spacciati, anche in questa campagna elettorale, come “informazioni tecniche (e tecnico-politiche) di provata pertinenza e affidabilità” (cit.).

Guardiamoli insieme, questi dati. Quelli pubblici e pure quelli segretati (perché facciamo comunque i giornalisti, o no?).

Partiamo dai criteri applicati per elaborare i calcoli:

  • Il tasso di inflazione è fissato al 2% fino al 2070 (nel 2017 è stato dell’1,2%, nel 2018 dell’1,1%, nel 2019 dello 0,6%)
  • L’occupazione è considerata in aumento fino al 2030: +1,01% fino al 2021, +0,65% fino al 2025, +0,52% fino al 2030 (a fronte di un crollo continuo del numero di giornalisti assunti)
  • Il Pil reale è calcolato in crescita dell’1,71% fino al 2021, poi dell’1,24% fino al 2025 (nel 2018 è stata dello 0,8%, nel 2019 dello 0,2%, nel 2020 con ottimismo sarà dello 0,6%)
  • L’aumento della produttività varia tra lo 0,7% e l’1,02% fino al 2030, per poi salire ancora (i dati dicono che in Italia la produttività è in diminuzione o al massimo in crescita di pochi punti sopra lo zero)
  • Il tasso di rendimento del patrimonio è fissato all’1% reale, cioè oltre all’inflazione del 2%, quindi l’ipotesi è di un aumento del patrimonio del 3% l’anno.

Tirando le somme, i calcoli sono fatti considerando una crescita di posti di lavoro e  aumento delle retribuzioni che, «prudenzialmente», scrive l’attuario, è pari alla somma tra inflazione, produttività e scatti automatici contrattuali, cioè a qualcosa come almeno +4% l’anno. Mentre l’occupazione si contrae e le buste paga sono sempre più leggere.

Basterebbe già questo a far saltare il banco delle previsioni. Anche tenendo buono un aumento del valore del patrimonio che non è detto si verificherà. E, invece, la maggioranza dell’Inpgi e della Fnsi parte proprio da questi calcoli sballati per sostenere che i comunicatori ci salveranno.

Ecco la tabella che lo dimostrerebbe:

Inpgi con e senza comunicatori
Dati in migliaia di euro. Clicca qui per ingrandire

A parte il fatto che di comunicatori, come detto, la legge non parla, e che il loro numero non è chiaro da chi e come sia stato definito, i nuovi ingressi non ci sono stati nel 2019 e neppure nel 2020. Forse, ci saranno nel 2023. Con calcoli tutti da rifare.

Default in arrivo
Intanto, il contatore della sopravvivenza dell’Inpgi gira inesorabilmente. E a un ritmo ben più veloce di quanto considerato dalle proiezioni dell’attuario, perché l’occupazione scende, invece di salire, e le retribuzioni pure. Questa è la tabella già drammatica della corsa verso il baratro del nostro Istituto e delle nostre pensioni:

Bilancio attuariale tabella default
Dati in migliaia di euro. Clicca qui per ingrandire

Nonostante calcoli basati su dati ottimistici e irrealistici, il default sarebbe fissato a fine 2027. Considerando la realtà della nostra categoria, lo stop avverrà ben prima. A meno che non si pensi, subito, a una soluzione alternativa.

Peccato, però, che questi dati e questi documenti siano tenuti segreti anche a tutti noi giornalisti.

Inpgi “trasparente”
L’Inpgi sembra del resto avere una naturale avversione alla trasparenza, come una specie di allergia. E questo nonostante si sia dotata di un apposito regolamento e abbia una sezione “Trasparenza” sul sito istituzionale (che, detto per inciso, come evidenziato in homepage, è in revisione e aggiornamento da talmente tanti anni che è difficile risalire a memoria alla data esatta).

Proprio la mancanza di informazioni chiare e verificabili è alla base della “narrazione” della maggioranza dell’Inpgi e della Fnsi, riunita nella componente #ControCorrente. Che pretende venga preso come “verbo” tutto quello che viene affermato. Senza prove, senza numeri, senza documenti. E questo non solo nei confronti degli iscritti, che pure ne hanno pieno diritto. Ma perfino di chi dai colleghi è stato eletto per rappresentarli.

Sapete, per esempio, che il Consiglio di amministrazione si rifiuta di mettere a disposizione del Consiglio generale le proprie delibere? E che i Consiglieri generali non sono stati coinvolti neppure lontanamente nella riforma del 2015-2016? E che le riunioni dello stesso Consiglio generale, a parte nel 2016 quando bisognava eleggere il Cda, sono state appena due l’anno, giusto perché non si può evitare di far ratificare i bilanci, mentre lo Statuto dell’Inpgi ne impone almeno tre? Insomma, tutto viene deciso nelle chiuse stanze del Consiglio di amministrazione, da cui poco o nulla trapela oltre ai comunicati ufficiali. Peraltro, pochissimi: appena 48 in quattro anni cruciali per la categoria, nel 2018 addirittura solo 3.

E vogliamo parlare della segretezza assoluta che circonda la costituzione, la vita e gli atti del Fondo immobiliare “Giovanni Amendola”? L’Istituto ha sempre rifiutato di dare informazioni precise persino al Collegio sindacale, con la scusa che il Fondo è un’entità a parte e non rientra nelle specifiche competenze dei Sindaci. E si è opposta alla consegna dei documenti anche quando a imporgliela è stato un tribunale (leggi qui).

Il motivo reale di tale segretezza non è dato di sapere. Ma, certo, di fronte a un muro così coriaceo, è legittimo, anzi doveroso, farsi venire più di un dubbio.

2-continua

Clicca qui per leggere programma e candidati di Sos Inpgi – Garanzia pubblica per le pensioni

Un pensiero su “#CrisiInpgi1 Favole/2 I comunicatori? Non salveranno le nostre pensioni

Lascia un commento