L’Inpgi annuncia con enfasi sul suo sito internet che domani (giovedì 12 marzo) si presenterà come parte offesa al processo ai fratelli Magnoni per bancarotta e truffa ai danni dell’Istituto di previdenza dei giornalisti, della Cassa dei ragionieri e dell’Ente dei medici.
Fumo negli occhi: l’Inpgi è parte offesa, ma non per scelta. Lo stabilisce il magistrato inquirente chi sono le parti offese. E che l’Inpgi lo fosse lo ha dichiarato pubblicamente oramai oltre due mesi fa.
Il Cda dell’Istituto avrebbe dovuto deliberare da tempo la costituzione di parte civile, a prescindere dalla successiva percorribilità, perché solo così avrebbe dimostrato la buona intenzione di voler tutelare l’integrità dell’Ente. Questo purtroppo non è avvenuto e oggi l’Istituto si nasconde dietro un automatismo procedurale ben sapendo che non avrà alcun effetto pratico. Se domani sarà accettata la richiesta di patteggiamento (a 4 anni e 6 mesi per Giorgio Magnoni e 3 anni e 6 mesi per il figlio Luca), infatti, non resterà che fare causa (civile) per riavere i 7,6 milioni di euro pagati in più dall’Inpgi per l’acquisto delle quote del Fip (Fondo immobili pubblici) dalla Sopaf dei finanzieri milanesi.
Stupisce piuttosto che l’Inpgi ostenti oggi di essere parte offesa, visto che finora ha sempre sostenuto di non aver subito alcun danno dall’operazione Fip/Sopaf. Se l’investimento fosse stato davvero vantaggioso, come più volte dichiarato, perché l’Istituto sarebbe parte offesa?