di Daniela Stigliano – Giunta Esecutiva Fnsi
Spremere i giornalisti già assunti, obbligandoli a lavorare di più, guadagnando meno, eliminando molte garanzie e tutele e rendendo i capiredattori ricattabili. Senza alcuna previsione reale di assunzioni future. Anzi. E senza riferimenti all’innovazione e allo sviluppo multimediale. Questa è la flessibilità secondo gli editori.
A mesi di distanza dalla presentazione formale al vertice del Sindacato, la piattaforma della Fieg è stata finalmente resa nota anche alla Giunta Esecutiva e alla Consulta delle Associazioni regionali di stampa, all’interno di un documento di 12 pagine consegnato nella riunione del 26 luglio e doverosamente diffuso da alcune Associazioni, tra cui la Siciliana (leggi l’articolo che riporta il testo integrale). Mentre dalla Segreteria della Romana arriva un giudizio netto: “Inaccettabili le proposte degli editori sul prossimo contratto” (leggi qui).
Ecco allora una guida ragionata alla piattaforma in 25 punti presentata alla Fnsi, con la spiegazione punto per punto di quello che vorrebbero gli editori: dalle corte alle domeniche, dalle ferie agli scatti, dagli straordinari alle malattie, dai superfestivi ed ex festivi alla licenziabilità dei capiredattori.
Due mesi di tempo
La piattaforma della Fieg, al pari delle nuove ipotesi elaborate dalla Segreteria Fnsi, si inizia a esaminare ora, come se si trattasse di un avvio delle trattative. Mentre il 30 settembre scade la proroga di 6 mesi al contratto scaduto lo scorso 31 marzo che la Fieg ha – per la prima volta in oltre cent’anni – disdettato lo scorso ottobre (leggi qui). E nelle dichiarazioni ufficiali del presidente Maurizio Costa alla delegazione dei giornalisti quella data costituisce la deadline.
Restano insomma due mesi di tempo – con agosto di mezzo – per trovare un accordo. Dalla Fnsi arriva però, fino a questo momento, una risposta flebile se non inesistente, che ripete come un mantra stanco la parola “inclusione” e pochi altri concetti. Mentre c’è bisogno di una strada verso l’innovazione contrattuale e la flessibilità intelligente, che sia davvero in grado di creare nuova e stabile occupazione.
Guida ai 25 punti
Ma andiamo per ordine, e proviamo a capire – analizzando uno per uno i 25 punti della piattaforma Fieg – che cosa significherebbe dire di sì alle richieste degli editori. Considerando che la Fieg insiste anche per la conferma della “retribuzione d’ingresso”, prevista dall’accordo del 24 giugno 2014 riportato nell’Allegato H del Cnlg in vigore. E tenendo conto che molte delle richieste degli editori erano state avanzate anche negli ultimi rinnovi contrattuali, ma mai messe ufficialmente nero su bianco e comunque rigettate dalla delegazione sindacale.
In corsivo sono riportate le richieste della Fieg. In tondo, la spiegazione con i riferimenti contrattuali. I 25 punti seguono l’ordine degli articoli contrattuali a cui fanno riferimento. Il Cnlg 2013-2016 in vigore è scaricabile qui.
1. Contratti a termine
Elevazione del numero dei contratti a termine possibili: 8 (anziché 6) nelle aziende da 1 a 20 dipendenti; il 35% (anziché il 30%) nelle aziende da 21 a 50 dipendenti; 30% (anziché 25%) nelle aziende da 51 a 100 dipendenti; 25% (anziché 20%) nelle aziende oltre i 100 dipendenti.
L’aumento del tetto massimo di assunzioni a termine avrebbe l’effetto ovvio di rendere il lavoro ancora più precario e meno retribuito. In epoca di Jobs Act, che consente purtroppo il licenziamento dei nuovi assunti, voler aumentare i limiti dei contratti a termine ha il solo obiettivo, da parte degli editori, di tenere ferme le retribuzioni (non vengono applicati gli aumenti automatici e gli integrativi aziendali) e di evitare il pagamento delle indennità di licenziamento previste dalle nuove norme di legge. Ed è il primo segnale di una indisponibilità a costruire insieme con il Sindacato un aumento dell’occupazione stabile. Anzi.
Spesso le assunzioni a termine sono state lo strumento per mettere una pietra tombale sui rapporti “anomali” con i collaboratori ed evitare le cause legali. Permettere di aumentare il loro numero significa togliere speranze di portare i cococo a un rapporto di lavoro subordinato.
Si tratta di modifiche al punto D) dell’articolo 3 del Cnlg, apparentemente riferiti esclusivamente ai contratti a termine (punto A del medesimo articolo) e non a quelli di somministrazione (ex interinali, punto C dell’articolo). Il dubbio è quindi se la Fieg intenda prevedere due ipotesi di limiti per le due fattispecie di assunzioni e se questi limiti, che ora sono complessivi, si possano sommare.
2. Poteri del direttore
Includere la previsione che il direttore può provvedere anche attraverso il caporedattore o il caposervizio delegato alla gestione delle ferie, dei permessi e dei recuperi di settimana corta.
Apparentemente, è solo una soluzione di comodità nella gestione ordinaria e quotidiana dell’organizzazione del lavoro. Ed è costruita pensando alla norma sulla richiesta e certificazione degli straordinari. Ma solo chi non vive nelle redazioni può non comprendere che attribuire per contratto ai capiredattori e addirittura ai capiservizio la responsabilità di decidere su ferie, permessi e settimane corte avrebbe il doppio effetto di scatenare tensioni inutili tra i colleghi e togliere ai direttori un tassello fondamentale dell’organizzazione del lavoro. Oltre ad altri tentativi di “contenere” i suoi poteri con richieste in punti che vedremo successivamente.
3. Orario di lavoro
La possibilità di distribuire l’orario di lavoro settimanale in misura differenziata nei 5 giorni lavorativi è oggi possibile se concordata tra azienda, direttore e comitato di redazione. La Fieg chiede che l’orario di lavoro si possa articolare anche su 6 giorni e che l’esame congiunto (azienda, Cdr e direttore) si debba concludere entro 30 giorni e che la decisione sia attuata anche senza un’intesa raggiunta.
La traduzione è: se l’azienda decide, si potrà lavorare sei giorni alla settimana (domenica a parte), che il Cdr e persino il direttore siano d’accordo o meno. Sei giorni con orario peraltro differenziato: un giorno una o due ore, un altro fino a 10, e così via. Ci hanno già provato alcuni editori, negli ultimi anni, soprattutto per far fronte alla necessità di aggiornamento dei siti sette giorni su sette senza ricorrere a nuove assunzioni. Eliminare la necessità di un accordo significherebbe dare mano libera a questo loro disegno.
Si tratterebbe di intervenire sull’articolo 7, tra i commi 2, 3, 6 e 7. E poi, che fine farebbe la disposizione sul recupero della settimana corta prevista al comma 9 dello stesso articolo 7? Ma questo si scopre nel punto successivo.
4. Settimana corta
a) Prevedere che il giorno di settimana corta maturi dopo aver prestato attività lavorativa per almeno 5 giorni.
b) Prevedere che il giorno di corta debba essere usufruito a pena di decadenza entro 60 giorni.
Tema scottante è quello del riposo infrasettimanale, la cosiddetta corta, effetto della distribuzione dell’orario di lavoro su cinque giorni la settimana, che il contratto norma ai comma 9 e 16 dell’articolo 7, lasciando però molte questioni aperte.
Per esempio: quanti giorni bisogna lavorare perché si maturi il diritto alla corta? Un antico contenzioso che gli editori vogliono evidentemente risolvere una volta per tutte. A loro totale favore, ça va sans dire. Tra chi ritiene, come ha sempre detto il Sindacato, che la corta si maturi ogni settimana a prescindere dal numero di giorni lavorati, e chi chiedeva – pure tra gli editori – che si ponesse un minimo perlomeno di tre giorni lavorati per far scattare la corta, la Fieg tenta l’en plein: la corta settimanale scatta solo se si lavorano cinque giorni. E se un festivo si resta a casa? Niente! E se si sta male un giorno? Niente! E se si fa una giornata di sciopero? Sempre e comunque niente! E se si recupera la domenica? A maggior ragione, niente di niente!
Altro problema irrisolto riguarda le corte arretrate, che nel tempo ha portato molti colleghi ad accumularne, anche in quantità esagerata. Il contratto dice oggi genericamente che, se si è costretti a lavorare nel giorno di riposo infrasettimanale, si “ha diritto di recuperarlo entro 30 giorni“. Diritto, non dovere. E nulla c’è scritto su che cosa succede se questo diritto non venga esercitato. Peraltro, l’indeterminatezza del loro smaltimento si è pure tradotto in una difficoltà di “valutazione” economica delle corte arretrate al momento dell’interruzione del rapporto di lavoro.
Anche in questo caso, però, a fronte di una oggettiva utilità per tutti di una regolamentazione chiara, gli editori puntano al massimo risultato: la corta dev’essere consumata entro 60 giorni pena la decadenza. Un diritto diventa un dovere imperativo, seppure in un arco temporale raddoppiato, ma si “trascura” di distinguere tra situazioni completamente differenti, ovvero tra un’impossibilità organizzativa oggettiva di fare la corta, certificata dai direttori, in periodi particolari (per esempio, d’estate) o per carenza cronica di organico, e un “rinvio” non motivato nelle settimane da parte del collega.
Introdurre questa norma senza i necessari distinguo e precisazioni, avrebbe ancora una volta il risultato di danneggiare i colleghi assunti e di non far emergere necessità di assunzioni.
5. Lavoro straordinario
Nel confermare l’attuale disposizione contrattuale che le ore di lavoro straordinario non possono superare “di norma” le 22 ore mensili, precisare “fermo restando il rispetto di eventuali direttive aziendali in materia”.
Una frase dalle molteplici interpretazioni, da inserire al comma 10 dell’articolo 7. La domanda da porsi è: che cosa potrebbero intimare le “eventuali direttive aziendali“? Proviamo a rispondere.
1) Gli straordinari non si fanno, punto. O si fanno con un tetto massimo inferiore alle 22 ore. E se il giornale non è chiuso, sono problemi del direttore, del caporedattore o del caposervizio. Ma soprattutto dei giornalisti tutti che, come già accade in molte redazioni, lavoreranno più ore senza essere pagati. E senza un giorno potere far rivalere il proprio “credito” nei confronti dell’azienda.
2) Gli straordinari possono superare le 22 ore mensili in particolari situazioni codificate, senza che questo determini quanto previsto dal comma 14, ovvero un incontro tra editore, direttore e comitato di redazione per capire che cosa c’è che non va nell’organizzazione del lavoro e trovare “provvedimenti idonei” a risolvere il problema, fino alla “revisione dell’organico“, cioè a fare nuove assunzioni.
Ma il punto è che, da parte degli editori, emerge ancora una volta il tentativo (non nascosto) di limitare il ruolo dei direttori (di cui sembrano non fidarsi…) nell’organizzazione del lavoro e nella loro possibilità di gestire la redazione al meglio. Aumenterebbe, al contrario, il potere delle aziende attraverso i capi del personale.
6. Maggiorazione del 15%
Prevedere che l’indennità del 15% per le figure di vertice e per le mansioni svolte prevalentemente all’esterno (15^ comma art. 7) sia congelata in cifra fissa per coloro a cui è stata sinora attribuita e ridotta al 10% (ma sempre in cifra fissa da calcolare sul minimo della contingenza) per i giornalisti ai quali la qualifica e la mansione sia riconosciuta dopo l’entrata in vigore del contratto.
Si tratta evidentemente di un taglio netto al costo del lavoro di molti colleghi con incarichi di rilievo. Li elenca tutti il comma 15 dell’articolo 7: “direttori, vice direttori, condirettori, redattori capo, titolari o capi ufficio di corrispondenza della capitale, corrispondenti dalle capitali estere, capi o titolari degli uffici regionali delle agenzie di informazioni per la stampa, critici, inviati, informatori politici e parlamentari e vaticanisti”.
Figure professionali che non sono tenute al rispetto degli orari di lavoro, quindi non hanno diritto nemmeno al pagamento degli straordinari, ma che in cambio ora hanno un’indennità compensativa del 15% calcolata sulla retribuzione mensile, comprensiva di eventuali superminimi che non superino il minimo tabellare della propria qualifica (ma esclusi eventuali forfait per lavoro festivo e domenicale). L’indennità è peraltro già oggi assorbibile in eventuali forfait per straordinari concessi prima del passaggio alla qualifica ricompresi nell’elenco. Ma viene rivalutata se i minimi contrattuali o altri elementi della propria retribuzione aumentano.
Con questa modifica, chi ha già l’indennità in busta paga la manterrebbe ma in cifra fissa e congelata per sempre, perdendo progressivamente il suo valore. E questo, nel testo proposto, anche se dovesse avere uno scatto di qualifica, per esempio un inviato o un critico o un vaticanista che diventa caporedattore. Chi invece rientrerà nelle categorie coinvolte dopo l’entrata in vigore del contratto, avrebbe l’indennità ridotta al 10%, calcolata solo sui minimi contrattuali con la contingenza e una volta per sempre, perché anche in questo caso la cifra verrebbe “congelata“.
7. “Inviato occasionale”
Prevedere che l’indennità del 30% dei cosiddetti “inviati occasionali” sia riconosciuta soltanto ai giornalisti che prestano attività occasionale “al di fuori del comune della propria sede di lavoro”.
Si tratta di una aggiunta al comma 17 dell’articolo 7, e interesserebbe i giornalisti che si occupa di fatti di cronaca o importanti eventi che si svolgono nella propria città: anche quando venissero mandati a seguirli come “inviati”, non avrebbero più diritto al 30% della retribuzione giornaliera ma solo alle eventuali ore di straordinario effettuate.
8. Indennità di agenzia
Prevedere il congelamento in cifra fissa della indennità di agenzia per i rapporti in essere con la precisazione che tale indennità non costituirà base per le maggiorazioni retributive previste dal contratto collettivo. Contestuale eliminazione dell’indennità per le nuove assunzioni.
Oggi tutti i giornalisti delle agenzie di stampa hanno una maggiorazione del 18% calcolata sul minimo tabellare della qualifica di appartenenza. Con questa modifica al comma 3 dell’articolo 10, chi è oggi assunto la continuerebbe a prendere, in cifra fissa e congelata, senza peraltro che su questa somma vengano calcolati altri istituti contrattuali, come straordinari o domeniche. Per i nuovi assunti, invece, la cosiddetta “indennità di agenzia” scomparirebbe del tutto.
9. Qualifiche
Oggi nel contratto esistono due livelli retributivi per il redattore ordinario legati al l’anzianità di iscrizione all’Albo. Prevedere che per anzianità professionale si debba intendere l’effettiva attività di lavoro giornalistico subordinato.
Si potrebbe definire una norma contro i giornalisti diventati professionisti per riconoscimento del praticantato da parte dell’Ordine (come freelance o praticanti d’ufficio) e usciti dalle scuole di giornalismo riconosciute dall’Ordine. E a favore della reiterazione di contratti a termine non continuativi. In generale, toglierebbe forza alle norme ordinistiche che regolano appunto la “professionalità” dei giornalisti.
Si tratterebbe di specificare all’articolo 11 che i due livelli di qualifica del redattore ordinario (con meno e con oltre 30 mesi, lettera a e b) sono direttamente dipendenti dal periodo in cui il collega è stato assunto e non dal momento in cui ha superato l’esame professionale. Con un effetto economico sulle retribuzioni dei nuovi assunti.
Per essere chiari, un giornalista che ha superato l’esame senza avere un rapporto di lavoro dipendente, come freelance o al termine della scuola, fino a quando non avrà superato i 30 mesi complessivi di assunzioni, anche a tempo determinato, rimarrebbe al primo livello di qualifica e di minimo contrattuale. Anche fossero passati anni e anni dalla sua iscrizione all’Ordine come professionista. Con tutta la convenienza, per gli editori, a non fargli superare mai questo livello.
10. Aumenti periodici di anzianità
a) Riduzione degli scatti da 15 a 9.
b) Tutti gli scatti triennali e in cifra fissa.
c) Mancato riconoscimento degli scatti a coloro che hanno già maturato il numero di 9.
A sette anni dal contratto del 2009, che ha già visto un importante intervento sugli scatti, gli editori tornano a battere su questo tasto e a chiedere una revisione dell’articolo 13. Non basta loro più averli limitati a 15 complessivi, di cui i primi 3 biennali e i successivi 12 triennali, durante il rapporto di lavoro con una medesima azienda (per un arco di tempo di 42 anni da quando si diventa redattore ordinario), né averli sottratti alle rivalutazioni prima previste in base agli aumenti retributivi del singolo giornalista. La richiesta è oggi ben più pesante.
Prima di tutto vorrebbero ridurre ancora il numero di scatti, da 15 a 9. Quindi renderli tutti triennali, per un arco di tempo complessivo di 27 anni dopo il passaggio alla qualifica di ro +30. Poi definirli in cifra fissa, cioè non calcolati sul minimo di stipendio più la contingenza al momento della maturazione dello scatto. Infine, fermare gli scatti subito a chi ne ha già maturati 9, forse anche – ma questo non è chiaro dalla lettura testuale – in caso di passaggio a una nuova azienda. Mentre fino a ora, se si cambia editore il conto dei 15 scatti riparte da zero.
L’obiettivo chiaro sono, evidentemente, soprattutto i giornalisti già assunti e con una discreta anzianità aziendale, che subirebbe un ulteriore rallentamento della dinamica della propria retribuzione.
11. Cessione servizi
La maggiorazione del 30% per la cessione dei servizi ad altre aziende o testate è abolita.
La traduzione di questa richiesta è la possibilità per gli editori di cedere liberamente (e di guadagnarci sopra) tutto quello che il giornalista scrive per qualsiasi altra azienda o testata non del proprio gruppo. La maggiorazione del 30% prevista dall’articolo 14 era infatti rimasta in vigore solo per cessioni esterne, perché le collaborazioni infra-gruppo sono ricomprese nella retribuzione con le modalità e i limiti previsti dall’articolo 4.
Per estensione, si può immaginare che la Fieg punti anche a eliminare il compenso minimo di 10 euro per la cessione di singoli servizi. Ed è prevedibile che la richiesta sottenda anche la soppressione dell’autorizzazione alla cessione degli articoli che il giornalista deve oggi dare (e quindi può rifiutare).
Vendita libera del lavoro dei giornalisti, insomma, a tutto e solo guadagno degli editori. Con buona pace del diritto d’autore di cui tanto anche la Fieg parla e che, a livello europeo, i Sindacati chiedono di riconoscere direttamente al giornalista.
12. Tredicesima mensilità
Riduzione del calcolo della tredicesima da 30/26 a 26/26.
Un taglio secco alle retribuzioni complessive che da solo vale tantissimo. Non c’è molto da aggiungere alla richiesta di modificare il primo comma dell’articolo 15, riducendo di oltre il 13% la tredicesima di tutti i giornalisti. Basta fare qualche calcolo, anche solo approssimativo.
Su una retribuzione media mensile, tutto compreso, mettiamo di 3 mila euro lordi, la tredicesima oggi prevista è pari a circa 3.460 euro. Con la modifica sarebbe pari a 3 mila euro, con una perdita immediata di 460 euro e un risparmio maggiore per l’editore sul costo del lavoro. Moltiplicato per tanti giornalisti, magari con stipendi più elevati, la cifra per le aziende diventerebbe decisamente importante.
13. Lavoro notturno
Riduzione dell’arco del lavoro notturno (oggi dopo le 23 e prima delle 6) prevedendo che è considerato lavoro notturno quello che si svolge tra le ore 24 e le ore 6 con limitazione della maggiorazione alle sole ore di lavoro prestate in questo arco di tempo. La maggiorazione non avrà riflessi su nessun altro istituto contrattuale.
Far iniziare il lavoro notturno un’ora più tardi, a mezzanotte invece che alle 23, può sembra un’inezia. Combinato però con le altre due richieste di modifica dell’articolo 17 chieste dalla Fieg, l’effetto sarebbe significativo. In perdita per i giornalisti, in risparmi per gli editori. Con conseguenze anche sull’organizzazione del lavoro.
Oggi chi lavora fino a dopo le ore 23 oppure inizia prima delle 6, anche solo per un quarto d’ora, ha diritto a una maggiorazione del 16% sulla retribuzione giornaliera. E se sfora questi due limiti per più di 18 volte in un mese, riceverà la maggiorazione sull’intero mese. Norme studiate per i quotidiani di carta di una volta, che si potrebbero pensare in maniera diversa. Ma non come propongono gli editori. Che vorrebbero ora pagare solo per le ore lavorate comprese tra mezzanotte e le 6, senza riconoscere un disagio oggettivo a chi deve andare al lavoro alle 4 o alle 5 del mattino oppure arrivare in redazione alle 19 per rimanerci fino alle 2.
In tempi di multimedialità, infatti, il punto non è più a che ora si chiude il giornale di carta del giorno dopo, ma come si combinano i turni per coprire le diverse piattaforme informative. Ed è semplice comprendere come gli aggiornamenti ai siti da mezzanotte alle 6 saranno, se non evitati, sicuramente affidati a chi ha retribuzioni più basse, per limitare al minimo il costo del lavoro notturno. Con un vincolo per l’intera organizzazione del lavoro.
14. Festività
a) Ridurre la maggiorazione delle festività del 1 maggio, 15 agosto e 25 dicembre dal 260% all’80%.
b) Soppressione della maggiorazione retributiva per il lavoro prestato nelle ex festività.
Sotto attacco sono i cosiddetti “superfestivi” e le ex festività.
I primi, citati alla lettera b) del primo comma dell’articolo 19 e normati nei successivi comma 3 e 5, verrebbero degradati al rango di festivi “normali” (lettera c del primo comma e commi 3 e 4), con un taglio della maggiorazione di oltre due terzi, dal 260% all’80%. La motivazione è che la distinzione aveva un senso quando era legata al lavoro in giornate festive ed eccezionali, con le redazioni dei quotidiani chiuse per la mancata uscita del giornale in edicola il giorno successivo, mentre oggi la multimedialità ha reso necessaria l’attività giornalistica anche nei superfestivi.
Le ex festività sono invece i cinque giorni di festività soppresse da una legge del 1977 e previsti ai comma 7, 9 e 10 dell’articolo 19: il 19 marzo (San Giuseppe), l’Ascensione, il Corous Domini, il 29 giugno (San Pietro e Paolo) e il 4 novembre. Oggi chi è chiamato a lavorare in questi giorni guadagna una giornata in più, la Fieg vorrebbe invece renderle giornate di lavoro ordinario, senza alcuna maggiorazione.
15. Calendario di uscita dei quotidiani
Oggi la norma contrattuale prevede che i giornalisti dipendenti dai quotidiani del pomeriggio chiamati a lavorare il 16 agosto abbiano diritto a 1/26 di retribuzione in più. Prevedere la possibilità di erogare in alternativa una giornata di riposo compensativo.
È una modifica richiesta al comma 1 dell’articolo 20 che riguarda esclusivamente i colleghi dei quotidiani del pomeriggio. Oggi se lavorano il 16 agosto, a edicole chiuse, hanno diritto a una giornata di retribuzione in più, gli editori vorrebbero invece poterla convertire in giornata compensativa.
Potrebbe però non trattarsi solo di un risparmio economico immediato. Se infatti si combina questa norma con quella sulla decadenza delle corte (vedi punto 4), si comprende come l’obiettivo finale, soprattutto in redazioni già a organici risicati, sia quello di vanificare il riposo compensativo e di risparmiare due volte.
16. Mutamento di mansioni
Elevare da 3 a 6 mesi consecutivi il periodo necessario per ritenere definitivo il riconoscimento della mansione superiore.
Il primo tema dell’articolo 22, “Mutamento di mansioni”, al comma 2, prevede oggi che dopo 3 mesi consecutivi in cui si svolgano “funzioni superiori a quelle antecedentemente esercitate” si abbia diritto a rimanere nella nuova funzione. È già così non è semplice esercitare questo diritto. Anzi. È difficile persino farsi riconoscere la retribuzione corretta per il periodo in cui si è svolta la “funzione superiore“.
Ora gli editori vogliono portare a 6 i mesi consecutivi per far scattare il diritto alla nuova mansione. Come dire: metterci una pietra sopra.
17. Ferie
a) Eliminare il periodo di massima di usufruibilità delle ferie (1 maggio – 31 ottobre).
b) Inserire l’obbligo di fruire di 2 settimane di ferie nel corso dell’anno di maturazione e le rimanenti giornate nei 6 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione.
c) In caso di mancata programmazione attribuibile al giornalista la fruizione delle ferie verrà disposta dal direttore insieme alla direzione aziendale.
d) In presenza di cassa integrazione o contratti di solidarietà le ferie maturano in proporzione alle giornate effettivamente lavorate.
e) Le ferie arretrate dovranno essere usufruite sulla base di programmi predisposti dal direttore e dall’azienda.
Le ferie, insieme con permessi retribuiti, aspettativa e permessi sindacali, sono regolati dall’articolo 23 del Cnlg. Tutto il primo capitolo è dedicato alle ferie, stabilendone numero, periodo in cui il giornalista ha diritto di prenderle (da maggio a ottobre compresi) e, nella “Norma transitoria“, come usufruire in base a “programmi concordati” delle ferie arretrate. Le modifiche richieste dalla Fieg tendono a rivoluzionare l’intero impianto (numero di giorni esclusi, vedere punto successivo). E il perché è presto detto.
Le ferie arretrate dei giornalisti sono diventate una voce pesante del passivo delle aziende. Ma gli editori, e i loro capi del personale, non vogliono ammettere che il problema principale è un’organizzazione del lavoro per definizione imperfetta perché gli organici sono ridotti al lumicino e, se si vuole far uscire il giornale, bisogna saltare le corte e ridurre i periodi di ferie, accumulando quelle arretrate. Meglio allora far ricadere la responsabilità sui giornalisti (direttori compresi) e disegnare nuovi meccanismi che, se attuati, porterebbero al risultato di consegnare nelle mani delle aziende la pianificazione delle assenze per ferie, senza bisogno di accordo aziendale né possibilità del singolo di opporsi.
Con il punto a) della proposta, salterebbe il vincolo del periodo in cui fare le ferie: ogni momento dell’anno sarebbe utilizzabile. Con buona pace anche degli impegni familiari e delle difficoltà di conciliare la maternità/paternità con il lavoro. Il punto b) obbliga a fare almeno due settimane di ferie nell’anno di maturazione, e sembra un invito rivolto più ai direttori che ai singoli giornalisti. Ma aggiungere che il resto delle ferie va fatto nei sei mesi successivi, cioè tra gennaio e giugno dell’anno dopo quello di maturazione, porta diritti alle previsioni dei punti c) ed e).
Il primo parla di una “mancata programmazione attribuibile al giornalista“, ignorando volutamente che molte volte il collega chiede le ferie e il direttore risponde di no, ma quasi mai per iscritto, e prevede che a quel punto siano direttore e azienda a imporre al giornalista quando restare a casa (magari a novembre o a febbraio). Il punto e) dà a direttore e azienda il diritto di programmare le ferie arretrate. In entrambi i casi, è l’azienda – l’ufficio del personale – a metterci lo zampino e a controllare che nessun costo rimanga sui bilanci dell’impresa. Poco importa se, per far fronte ai vuoti in redazione, si debba ricorrere a collaboratori o, peggio, ad abusivi.
Il punto d), quasi nascosto nell’elenco, è il colpo più basso: se l’azienda è in stato di crisi e ricorre a contratti di solidarietà o cigs a rotazione, le ferie non maturerebbero per intero – come previsto dalle norme – ma “in proporzione alle giornate effettivamente lavorate“. Solidarietà al 50%? Metà delle ferie in meno. Cigs al 20%? Un quinto delle ferie in meno. E così via.
18. Permessi straordinari
Abolizione dei 5 giorni lavorativi all’anno di permessi straordinari.
Cancellazione tout court del primo comma del paragrafo “Permessi straordinari” dell’articolo 23. La Fieg sceglie così di non chiedere una riduzione del numero delle ferie propriamente dette (pure ventilata in rinnovi passati) ma di attuarla indirettamente con la soppressione dei più flessibili e meno “governabili” cinque giorni di permessi retribuiti. Andando a colpire una platea più ampia di giornalisti.
Chiariamo meglio. Le ferie sono 26 fino a 5 anni di anzianità aziendale, 30 dopo 5 anni, 35 dopo 15 anni. Ridurre il numero significherebbe intervenire essenzialmente su chi ha maggiori anzianità, visto che la legge ne prevede come minimo 24 giorni l’anno. I 5 giorni di permessi retribuiti spettano invece a tutti i giornalisti con almeno un anno di lavoro in azienda. A conti fatti, molti molti di più. Senza contare che, con gli interventi previsti al punto precedente, già gli editori contano di limitare di fatto la fruibilità delle ferie di tutti e di prendere in mano la loro pianificazione.
19. Malattia e infortunio
a) In caso di malattia protratta il posto di lavoro sarà conservato per 12 mesi e non più, come oggi, sino al raggiungimento della idoneità al lavoro.
b) Il trattamento economico sarà ridotto: per i primi 6 mesi (oggi 9) retribuzione intera, per i successivi 6 mesi (oggi 9) retribuzione al 50%.
c) In caso di più assenze per malattia il periodo di conservazione del posto e il trattamento economico si riferiscono ad un arco temporale di 36 mesi.
d) Richiesta obbligatoria del giustificativo medico dell’assenza per malattia.
È la richiesta più spiacevole, tra quelle fatte dalla Fieg, perché più di altre attacca frontalmente la vita di quei colleghi colpiti da gravi malattie o infortuni. E comporterebbe la riscrittura quasi per intero dell’articolo 25, in particolare i comma da 1 a 3, ma con revisione anche del 5.
Non ci sarebbe più garanzia del posto per chi è malato seriamente: oggi non si può essere mandati via, se non quando venga certificata una permanente inidoneità al lavoro. Gli editori vorrebbero invece poter licenziare il giornalista dopo 12 mesi di malattia ininterrotta. Non solo. Anche la retribuzione intera verrebbe assicurata per 6 mesi, invece degli attuali 9, e ridotta al 50% per i successivi 6, al posto degli attuali 9.
La Fieg vorrebbe inoltre aumentare a 36 mesi, dagli attuali 24, l’arco di tempo in cui, sommando più periodi di malattia, si raggiungano 12 mesi di assenze (oggi sono 18 mesi). E anche in questo caso scatterebbe non solo la decurtazione dello stipendio dopo i primi 6 mesi, ma pure il licenziamento dopo un anno pur frazionato.
Un’annotazione amara su questo punto: il trattamento economico per malattia protratta proposto dalla Fieg (6 mesi intera + 6 mesi al 50%) è uguale a quello previsto nel contratto AerAnti-Corallo all’articolo 22, che però assicura la conservazione del posto per altri 3 mesi senza stipendio, per un totale di 15 mesi. A dimostrazione che la proliferazione di contratti depotenziati ha come conseguenza la rincorsa verso il basso dei diritti e delle tutele dei giornalisti.
L’ultima richiesta della Fieg sembra invece (apparentemente) un’ammissione di incapacità a farsi rispettare. Già oggi il secondo periodo del comma 3 prevede che “a richiesta dell’azienda il giornalista è tenuto ad esibire il certificato medico“. Che bisogno c’è di chiedere che sia resa obbligatoria dal contratto tale esibizione? Forse perché, con una violazione del contratto, si può invocare il Regolamento di disciplina normato all’articolo 50 e quindi assumere provvedimenti disciplinari fino al licenziamento?
20. Figure apicali
Inserire tra le figure apicali la qualifica di caporedattore.
Gli editori avanzano da tempo l’ipotesi che i capiredattori siano licenziabili, come direttore e, dal 2009, condirettori e vicedirettori. Come se fossero dirigenti, insomma, o più precisamente “figure apicali” previste all’articolo 27, lettera 1) comma 3. Richiesta finora sempre rispedita al mittente, perché significherebbe rendere ricattabili non solo i capiredattori, ma poi anche i capiservizio e alla fine l’intera redazione di un giornale. Soprattutto quando si pensa ai piccoli e medi giornali, e ancora più ai periodici, dove gli organici sono ridotti e i capiredattori sono uno o poco più.
L’esigenza sembrerebbe nascere in effetti nei grandi giornali, dove i nuovi direttori vorrebbe all’arrivo creare una propria “squadra” e oggi hanno l’unica possibilità di allontanare i capiredattori in carica destinandoli ad altra mansione (in genere, li fanno inviati), ma senza poter toccare le retribuzioni. Niente di più semplice, quindi, che poterli licenziare. Anche perché gli editori (e i direttori) si sono dimostrati incapaci di utilizzare la norma di flessibilità del contratto, fortemente voluta nel 2001, che permette di nominare caporedattore centrale “a termine” qualsiasi giornalista, anche un redattore ordinario, attribuendogli una “indennità di funzione” che viene a cessare al termine dell’incarico.
21. Comitato di redazione
a) Eliminazione della obbligatorietà dei pareri nei casi di mutamento di mansioni che possono dar luogo a risoluzione del rapporto di lavoro da parte del giornalista.
b) Esplicita previsione che esaurite le 72 ore a disposizione del Cdr l’azienda può proseguire nell’attuazione degli interventi proposti.
c) Eliminazione dei fiduciari che integrano il Comitato di redazione.
d) La richiesta di pubblicazione dei comunicati deve avvenire non più entro 3 ore prima della chiusura della prima edizione bensì 24 ore prima e in caso di dissenso nelle successive 24 ore il rappresentante statutario dell’Ars non potrà più decidere sulla opportunità della pubblicazione, ma potrà soltanto confermarla o chiederne modifiche.
Le quattro richieste di modifiche all’articolo 34, uno dei più importanti e centrali del nostro contratto, ha un obiettivo più politico che pratico: depotenziare e indebolire ulteriormente i Cdr già oggi messi in forte difficoltà dalla gestione delle crisi aziendali. E farlo a piccoli ma decisi e determinanti passi. Per avere mani libere su tutto.
Ecco allora che eliminare l’obbligo dei pareri del Cdr in quei casi di demansionamento che possono portare i giornalisti a dimettersi (lettera a della richiesta) non va solo a diminuire la tutela di questi colleghi, che potrebbero far valere il giudizio negativo dell’organismo sindacale aziendale anche in tribunale, e già questo non sarebbe poco, ma mortifica la funzione stessa del Cdr.
Così come specificare che dopo 72 ore, esaurito il tempo a disposizione del Cdr per esprimere qualsiasi parere, l’azienda può agire (lettera b della richiesta) è una precisazione di una norma già di fatto prevista ma che, nel quadro di corrette relazioni sindacali e nel rispetto dei ruoli, viene applicata con l’intelligenza delle parti. E si tradurrebbe in un irrigidimento delle procedure. Altro che flessibilità!
Facile prevedere che, soprattutto nelle testate che nel week end non sono operative, come i periodici, le comunicazioni su cui esprimersi arriverebbero il venerdì, possibilmente nel tardo pomeriggio, in modo da lasciare nemmeno 12 ore effettive per formulare il parere. Oppure si rimanderebbero le decisioni più spinose, con relativa comunicazione, alla vigilia dei periodi di ferie, o sotto Natale, o nella settimana di Pasqua. Tutte cose che avvengono già oggi, lo sappiamo. Ma senza più la possibilità di interpretare – da entrambe le parti – in maniera flessibile e appunto intelligente il vincolo delle 72 ore.
Per non parlare della voglia di “eliminare” dal Cdr i fiduciari che oggi lo integrano a tutti gli effetti (lettera c della richiesta), cioè rappresentanti della redazione romana, delle redazioni decentrate o uffici di corrispondenza, di corrispondenti, collaboratori fissi e articoli 36.
Infine, la lettera d) della richiesta di intervento sul comma 2 del capitolo “Comunicati sindacali” dell’articolo 34: impedire la tempestività di pubblicazione dei comunicati sindacali, che sono un’arma efficace contro decisioni aziendali contestabili e che, per la forza della comunicazione sull’esterno, danno molto fastidio agli editori. Dover aspettare almeno 24 ore (sui siti) o addirittura un giorno e mezzo e più (per i quotidiani) significa depotenziare quest’arma e quindi la capacità di azione del Cdr. Togliendo inoltre al Sindacato territoriale il ruolo fondamentale di giudice ultimo oggi svolto nel caso in cui l’editore o il direttore si rifiutino di pubblicare il comunicato.
22. Tutela sindacale
Prevedere che entro 40 giorni dalla denuncia del dissenso, anche se la commissione paritetica non si è pronunciata, l’azienda potrà procedere.
In una sola mossa, gli editori vorrebbero raggiungere il doppio obiettivo di scoraggiare l’attività sindacacale e togliere ruolo alla commissione paritetica prevista all’articolo 47, “cui è demandata la gestione applicativa del contratto nazionale” e che è formata da 4 rappresentanti della Fieg e 4 della Fnsi.
Il capitolo “Tutela sindacale” dell’articolo 34 impedisce oggi all’azienda di licenziare o trasferire i rappresentanti sindacali tutti (da fiduciari e Cdr fino ai consiglieri regionali e nazionali), se non sono d’accordo e se l’Associazione regionale di stampa non dà il nulla osta. Una tutela per evitare ritorsioni nei confronti dei colleghi che si occupano di sindacato. Se il licenziamento o il trasferimento non dipendono dall’attività sindacale, perché per esempio il provvedimento riguarda una generalità di giornalisti, tutti quelli di una redazione o di una sede, l’Associazione concede in genere il nulla osta. Ma se la “misura” è diretta solo al rappresentante sindacale, è ovvio che scatti il no. Ed è a questo punto che l’azienda si rivolge alla commissione paritetica, che deve pronunciarsi già oggi entro 40 giorni.
Che cosa cambierebbe, dunque, con la modifica richiesta dalla Fieg? In apparenza, nulla. In pratica, tutto. Perché inserire che dopo i 40 giorni “anche se la commissione paritetica non si è pronunciata, l’azienda potrà procedere” con il provvedimento, equivale a dire che della commissione se ne può fare a meno. Come? Per esempio, rinviando sine die la riunione per assenza giustificata dei rappresentanti e senza la possibilità di decidere congiuntamente una proroga dei termini.
Dopo 40 giorni dal no dell’Associazione, insomma, il collega sarebbe licenziato o trasferito. E gli rimarrebbe solo la strada della causa di lavoro. Quale miglior modo per convincere i giornalisti a tenersi alla larga dal Sindacato?
23. Praticantato
a) Ridurre l’attuale limite dei praticanti da 1 ogni 10 redattori a 1 ogni 5 redattori.
b) Il mancato superamento dell’esame di idoneità professionale entro 36 mesi dal l’assunzione costituisce giustificato motivo soggettivo di licenziamento.
A una prima lettura, la richiesta della Fieg di ridurre il rapporto tra praticanti e redattori può far pensare che gli editori abbiano intenzione di ricominciare ad assumere. Ma è anche possibile che la modifica al comma 1 dell’articolo 35, che fissa appunto tale rapporto in 1 praticante ogni 10 redattori nelle testate fino a 100 giornalisti (1 ogni 25 sopra i 100 giornalisti), prenda solo atto del fatto che in molti giornali, soprattutto periodici, oramai le redazioni con 10 giornalisti siano davvero poche. Senza contare che, incrociando questa richiesta con quella sull’aumento dei contratti a termine (punto 1), si potrebbero far entrare più giornalisti precari pagandoli al minimo possibile.
Molto chiara la seconda richiesta: se un praticante non supera gli esami nei 18 mesi a disposizione (dopo i primi 18 di praticantato), l’editore lo può licenziare.
24. Maggiorazioni lavoro domenicale
Prevedere che dall’entrata in vigore del nuovo contratto le maggiorazioni per il lavoro domenicale non abbiano più effetto.
Chiariamolo subito: gli editori non stanno chiedendo di eliminare la maggiorazione del 55% sul lavoro domenicale. Ma il combinato disposto di varie regole che vorrebbero introdurre, in diversi articoli del Cnlg, determinerebbe una situazione addirittura peggiore. Com’è possibile? Proviamo a capirlo con un esempio pratico.
Facciamo il caso di un giornalista di quotidiano che lavora due domeniche al mese. E poniamo che l’editore paghi già o faccia un accordo – in base al comma 11 dell’articolo 10 – per pagare le domeniche non con il 155% della retribuzione giornaliera ma con il 55% più il giorno di riposo compensativo. Ecco allora che, nella settimana in cui il giornalista prenderà il riposo compensativo della domenica dovrà poi lavorare cinque giorni per far scattare il giorno di corta (punto 4 delle richieste Fieg), saltandola di fatto per la settimana in corso. E andando a cumulare due giorni ogni due settimane, non potendole mai smaltire e perdendole dopo 60 giorni (sempre punto 4).
La situazione peggiora se il giornalista lavora più di due domeniche al mese, ovviamente. Pensiamo per esempio ai colleghi dello sport. Ancora di più se dovesse scattare la possibilità di lavoro sui sei giorni la settimana (punto 3 delle richieste Fieg). E a maggior ragione se le aziende avessero la possibilità di pianificare lo smaltimento delle ferie arretrate (punto 17 delle richieste Fieg), imponendo magari di prendere un giorno o due a settimana.
È su questo scenario che si innesterebbe la richiesta specifica di cui tratta questo punto e che ha l’obiettivo di risparmiare su una lunga serie di istituti contrattuali. Nelle “Norme transitorie e di attuazione” del Cnlg all’articolo 1 si stabilisce che cosa si intenda per “retribuzione“, ovvero che cosa si debba prendere in considerazione quando si calcolano tredicesima, redazionale, Tfr, indennità di mancato preavviso e altro ancora. Ebbene: la Fieg chiede che le maggiorazioni pagate per il lavoro domenicale non entrino più in questo calcolo. Con un danno non indifferente, immediato e a lungo termine, soprattutto per chi lavora abitualmente di domenica. E un grosso risparmio per gli editori.
25. Incremento dei minimi
Prevedere che gli incrementi dei minimi siano assorbibili nei superminimi individuali o aziendali.
Non importa dove potrebbe trovare spazio questa previsione richiesta dalla Fieg, in un nuovo articolo, all’interno delle Norme transitorie, nell’Allegato A sui minimi retributivi. In ogni caso, il punto 25 della piattaforma è un attacco doppio alla contrattazione nazionale e a quella aziendale. E di conseguenza al ruolo del Sindacato in tutte le sue rappresentanze. Con un effetto di depotenziare anche la capacità di lotta collettiva della categoria.
La richiesta è infatti di prevedere per contratto che quello che si raggiunge sul tavolo tra Fnsi e Fieg in termini di aumenti economici sui minimi non abbia alcun effetto pratico sulle retribuzioni dei giornalisti che hanno un superminimo individuale oppure un superminimo contrattato dal proprio Cdr. Un aumento collettivo mangia l’altro. E allora le redazioni più forti, che a livello di testata sono capaci di portare a casa più di quanto possa fare la Fnsi sul rinnovo contrattuale, non avranno alcun interesse a partecipare alle battaglie degli altri. E ad appoggiare il Sindacato nazionale resteranno solo i più deboli, che non riescono a ottenere aumenti collettivi con il proprio editore.
La fine del senso stesso della solidarietà di categoria.
Mi sono fermato alla lettura del 14mo punto del pacchetto (o pacco) predisposto dagli editori e inviato alla Fnsi per il rinnovo del contratto. Mi è venuta voglia di vomitare. Mi sono posto una domanda: ma se fare gli editori è ormai un’impresa titanica perché continuano a farlo? Investite in altre attività ma non potete pretendere di sfruttare i giornalisti contrattualizzati e quelli no (i più graditi) tagliandogli ogni tipo di compenso, continuando a cancellare diritti sacrosanti e aumentando in modo esponenziale le richieste di un surplus di impegni lavorativi. Siamo tornati ai “padroni delle ferriere”? Direi, per concludere, che bisognerebbe rispondere no a tutte le richieste. Abbiamo già dato.
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